AC History: Il Moro di Venezia, l’Italia debutta nella Coppa America con un sogno chiamato vittoria

Il Moro di Venezia rappresenta uno dei momenti più iconici della storia della vela italiana. Quando nel 1992 l’Italia approdò per la prima volta alla Coppa America, lo fece con una visione chiara e con un progetto tanto ambizioso quanto rivoluzionario. Le esperienze maturate con Azzurra nel 1983 e Italia nel 1987 avevano gettato le basi, ma fu solo con l’ingresso in scena di Raul Gardini e della Compagnia della Vela di Venezia che il sogno cominciò a prendere forma.

Gardini, imprenditore visionario nel settore agrochimico, puntò tutto su tecnologia e innovazione. Il risultato fu Il Moro di Venezia, un programma che prevedeva la costruzione di ben cinque imbarcazioni IACC (International America’s Cup Class) realizzate in fibra di carbonio e materiali hi-tech. Non si badò a spese: il budget, sebbene mai ufficializzato, si aggirava attorno ai 100 milioni di dollari. Un’enormità per l’epoca.

Il varo della prima imbarcazione fu un evento memorabile: una sontuosa cerimonia da tre milioni di dollari diretta da Franco Zeffirelli, con una Venezia interamente dedicata alla vela e all’eleganza. Fu la prima volta che l’Italia dimostrò di voler competere ad armi pari con i colossi della Coppa America.

Alla guida del team velico fu scelto un giovane e promettente Paul Cayard, all’epoca ventinovenne, già noto nell’ambiente velico per la sua esperienza con il team Italia e per i successi ottenuti ai mondiali Maxi del 1989 a San Francisco. Con lui si unirono nomi importanti della progettazione, come Bruce Farr e soprattutto German Frers, che curò lo sviluppo delle cinque barche del Moro.

La sfida progettuale fu intensa: dalla ITA-1 alla definitiva ITA-25, passando per test su dislocamenti diversi, forme dello scafo, appendici e configurazioni di chiglia. Alla fine, fu proprio l’equilibrio tra prestazioni e affidabilità a determinare il successo del progetto.

A San Diego, la base operativa fu allestita a Shelter Island. Fin dai primi Round Robin della Louis Vuitton Cup, emerse una netta superiorità rispetto a molti altri sfidanti. A competere per la finale furono essenzialmente due team: Il Moro di Venezia e la Nuova Zelanda con la radicale NZL-20, dotata di una chiglia tandem con flap, soluzione estrema ma efficace.

Il team italiano, dopo aver risolto alcune difficoltà iniziali soprattutto in bolina, si ritrovò pronto per la finale. Fu una sfida epica, ma anche controversa. Dopo la quinta regata, Il Moro protestò formalmente contro il sistema di issata dei gennaker usato dai neozelandesi, che impiegavano tangone e bompresso. La Giuria Internazionale accolse la protesta: una delle vittorie dei Kiwi fu annullata, portando il punteggio sul 3-1 e cambiando l’inerzia della serie.

Grazie a talento, visione e determinazione, Il Moro di Venezia riuscì nell’impresa storica di vincere la Louis Vuitton Cup, accedendo per la prima volta alla finale dell’America’s Cup contro i detentori americani. Nonostante la sconfitta contro America³, il risultato segnò l’ingresso definitivo dell’Italia nell’élite della vela mondiale.

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